Le
interviste sono state un fondamentale contributo per la realizzazione
della ricerca, perché ci hanno consentito di conoscere situazioni,
aspetti, realtà del passato attraverso chi ha vissuto personalmente tali
esperienze o
ne è stato testimone.
Le persone intervistate hanno
risposto ad un questionario elaborato dagli
alunni con diverse domande relative
allo sfruttamento tradizionale dell'acqua, ma spesso hanno preferito raccontare
i loro ricordi liberamente.
Delle numerose interviste raccolte riportiamo
alcuni stralci:
Zandegiacomo
Del Bel Angelo ("Angelo
del Bel"):
E' stato apprendista presso le botteghe di fabbro di Eliseo Zandegiacomo
Cella e di Pais Golin che si trovavano lungo il Rio Pondarin.
"Il
fabbro Osvaldo Del Frate aveva inventato un sistema originale perché non
si spegnessero le braci della forgia, utilizzando una grande botte nella
quale faceva entrare, mediante una canaletta, l'acqua del ruscello che
scorreva vicino.
La botte veniva riempita fino ad un certo livello e poi l'acqua era fatta
uscire da un foro posto vicino al fondo.
Nella parte vuota della botte si formava
dell'aria che, uscendo da un foro, ravvivava, appunto, le braci.
Il meccanismo funzionava,
naturalmente, a intermittenza...
Gli artigiani esperti erano piuttosto gelosi del loro mestiere ed erano
poco disponibili ad insegnare tutto e subito
ai giovani apprendisti".
Larese
Chieva Vittorio e Cattaruzza Dorigo Giuseppe:
La bottega del fabbro sul Rio Diebba era di proprietà del nonno del
Sig. Cattaruzza.
"Il
Diebba è un torrente violento a causa della pendenza ("faceva
paura"). Trasporta molta ghiaia ("La val del Diebba e na val che
mena do").
Da quando è stato costruito il lago artificiale tutto il materiale si deposita
intorno al vecchio ponte sotto il quale prima c'era un burrone piuttosto
profondo.
In pochi giorni, durante una brentana,
il mulino e la fucina furono sepolti dalla ghiaia, ma le attività
artigianali erano già state abbandonate da tempo.
L'alluvione del 1966 ha fatto il resto: ora i due edifici sono sotto 8-10
metri di ghiaia e perciò non se ne vede più alcuna traccia.
Nel mulino lavorava un uomo di nome Anselmo, detto "Acciderba",
perché usava spesso questa espressione.
Probabilmente si trattava di una famiglia di sfollati molto poveri
che si accontentavano di quella sistemazione. Il mulino era ormai
praticamente in disuso.
Gli opifici più importanti di Villapiccola erano lungo il Rio Ostera che
era un torrente meno pericoloso del Diebba".
Vecellio
Del Frate Lucia:
"Sul Rio Pondarin c'erano queste attività:
-
il fabbro "de chi de Golin";
-
il mulino "de Cristina de l Marden";
-
il fabbro "de Lin del Frate";
-
il mulino Bombassei Vittor; era un mulino molto grande e rumoroso, con
due ruote;l'ultimo mugnaio era chiamato "Eto spazacamin";
-
il mulino "de Bepo Vicino";
si trovava nella casa Vecellio
Bacco, ora demolita, dov'è il giardino dell'edificio delle Poste;
-
il
mulino Vecellio Del Frate ("ciasa de chi de Nodaro") che ha
funzionato fino al 1905 circa; l'ultima mugnaia si chiamava Marianna ed era mia zia.
Nella
località Fossa c'era la segheria "de chi de Dorde".
Vicino al ponte di Malon c'era
una segheria ad acqua di
proprietà del Comune".
Pais
Marden Silvio:
"Il mulino di Pais Marden Cesare, fratello di Cristina "del
Marden", era di proprietà della famiglia dal 1848 e fu
demolito nel 1936.
Macinava cereali per la gente del paese
e per la Cooperativa Cattolica che acquistava il grano all'ingrosso e poi
vendeva la farina.
Questo mulino ad acqua rimase in funzione più a lungo degli altri proprio
perché poteva contare sulle commissioni della Cooperativa.
Il grano veniva trasportato a dorso di mulo".
Zandegiacomo
De Zorzi Alfeo:
"Collegato alla segheria di Rodolfo Monti c'era un meccanismo per
cardare la lana: era formato da due rulli, muniti di spazzole con punte
lunghe circa mezzo centimetro, attraverso i quali veniva fatta passare la
lana.
Tutta la gente del paese ci portava la lana a cardare".
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