Il
Rio Diebba era considerato un torrente pericoloso perché molto in
pendenza e impetuoso.
Era, perciò, poco adatto alla costruzione di opifici, tuttavia lungo il
suo corso ne sorsero due, circa duecento metri oltre il vecchio ponte, sul
lato sinistro guardando la sorgente.
Erano:
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un mulino, dei Larese Cella;
-
una bottega di fabbro, dei Cattaruzza Dorigo.
L'acqua
del torrente veniva fatta confluire in una canaletta di tavole di legno
dalla quale cadeva a cascata sulle pale delle ruote idrauliche, sia del
mulino sia della bottega del fabbro.
Il flusso dell'acqua poteva essere regolato o deviato da piccole chiuse.
Quando il Diebba era in piena trasportava molta ghiaia e questo impediva
lo scorrimento dell'acqua nella canaletta. Se la situazione diventava
critica i due opifici venivano chiusi. Il mulino era un edificio grande, a
più piani.
Un asse orizzontale collegava la ruota idraulica al meccanismo interno. Su
questo asse erano inserite anche delle ruote più piccole mediante delle
cinghie intrise di resina degli alberi, perché non scivolassero.
Per macinare i cereali c'erano due grandi pietre, una fissa ed una in
movimento.
La farina ottenuta veniva poi setacciata ("tamesada") per
separarla dalla crusca.
Il mulino funzionò fino agli anni Trenta - Quaranta.
La bottega del fabbro era una costruzione più piccola del mulino.
All'interno c'erano:
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la forgia, cioè un fornello per scaldare il ferro che poi veniva lavorato;
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la mola che serviva per affilare seghe, accette, zappe, badili, ecc...;
il
diametro della mola era di circa 1,5 metri; era inserita sullo stesso asse
della ruota idraulica esterna;
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i vari attrezzi, come l'incudine, il martello, le pinze e le tenaglie, per
dare forma al metallo.
Ancora
oggi la località dove si trovavano i due opifici viene chiamata
"Mulino".
Le informazioni sugli opifici del Rio Diebba ci sono state fornite dai
Sigg. Vittorio Larese Chieva e Giuseppe Cattaruzza Dorigo.
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